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LA STORIA SIAMO NOI
Quadriennale `96: quando la lettura critica forza la storia
di Patrizia Mania


Eccola finalmente la tanto attesa XII edizione della Quadriennale d'arte di Roma. Accompagnata da uno stuolo di critiche e polemiche, che ne sono ormai la tradizionale premessa e l'altrettanto sistematico prologo. Un corollario talmente ancorato alla sua immagine che gran parte degli artisti, snobbando un po' la rassegna hanno presentato lavori che si erano già visti in altre occasioni. Poco male e tanto peggio per loro, vorrà dire che si sono giocati un'occasione per farci conoscere qualcosa di nuovo o di diverso. Per altro, si annoverano numerose carenze, assenze, inspiegabili presenze ma anche più di uno stimolo a riflettere sulla situazione contemporanea. È indubbio che, nonostante i limiti ravvisabili, questa rassegna fornisca una rara panoramica sull'arte italiana più recente ed è questo un merito che va riconosciuto soprattutto a Lorenza Trucchi che ha presieduto questa edizione.
È d'altro canto innegabile che l'opera di selezione di 175 artisti rappresentativi nel territorio nazionale sia alquanto ardua, e necessariamente comporti tagli ed esclusioni. Forse sarebbe stato per alcuni versi più corretto ammettere la parzialità delle scelte ed enunciare più chiaramente i criteri adottati nello stendere la lista degli artisti invitati. Alcune assenze clamorose appaiono assolutamente ingiustificate: prima fra le tante l'inspiegabile quasi totale lacuna di una adeguata ricognizione sull'arte del Mezzogiorno rappresentato molto approssimativamente. Che la creatività del centro-nord sia per natura più significativa? A Roma, per il rilievo che se ne dà, e nelle giustificazioni offerte in catalogo e nello spazio occupato in mostra, sembrerebbe che l'unica stagione degna di rispetto si sia sviluppata con la cosiddetta "Scuola Romana" con gli artisti di San Lorenzo, visto che praticamente quasi soltanto a loro è stato consentito, nella sede di Palazzo delle Esposizioni, di accedere alle grandi pareti di fondo, costringendo il resto degli invitati a coercitive condizioni di spazio, soffocati da pannellature penalizzanti, a volte con un respiro antistante di neanche un metro. Ovvio che un allestimento così mal assortito facesse riflettere più d'uno sulle ragioni che ne devono aver governato la realizzazione lasciando qualche legittima perplessità in merito. Ma, sorvoliamo sulle deficienze strutturali, senza perciò sminuirne il significato, e concentriamoci sulle opere presentate: tra tante proposte mediocri qualche buon risultato si è visto un po' in tutte le sezioni della mostra. Onde evitare infatti le solite reiterate suddivisioni per tematiche cosiddette emergenti, si è optato, anche se non viene detto esplicitamente, per un ripristino delle tradizionali distinzioni delle arti. Di fatto l'esposizione ruota intorno a tre grandi nuclei: la sezione "pittura", forse quella che maggiomente soffre delle scelte allestitive; la sezione "video" e quella delle installazioni in parte compenetrantesi e quella della scultura.
Ma è nel catalogo che le scelte trovano la loro giustificazione teorica ed è dunque ad esso che occorre far riferimento per schiarire eventuali perplessità e per leggere forse anche tra le righe quello che non appare così evidente nelle opere esposte. Si direbbe anzi che tra testo teorico e testo visivo ci sia una certa idiosincrasia. Infatti, in particolar modo nei saggi destinati a definire la cornice storica dell'arte proposta, saggi scritti non dai curatori ma da una serie di critici; ritenuti, come afferma uno dei curatori, tra i più attenti, si ricostruisce quasi esclusivamente una linea, ignorando tutto il resto. Viene da chiedersi come mai si sia dato posto allora a proposte così differenziate. Sorge il fondato sospetto si sia avviata un'operazione di revisionismo storico di fronte soprattutto ad un'eccedente promozione dell'arte "lumbard".L'aggettivo è di colore, ma rende bene il senso della rete di legittimazioni qui proposta. Il carattere dell'eclettismo, dichiarato come precipuo, sia dai curatori che dalle autorità storiche interpellate, non risulta di fatto suffragato dalle teorie critiche. Non c'è corrispondenza tra le complessive scelte di fatto ed il monocorde quadro storico tracciato in cui sarebbe l'arte milanese a far da traino negli ultimi anni. Per Laura Cherubini, ad esempio, alla quale è stato domandato di ricostruire gli ultimi decenni a Roma, uno degli eventi più significativi della città è stata la mostra dell'artista milanese Liliana Moro allo Studio Bocchi, e senza entrare nel merito mi chiedo per chi a Roma sia stata interessante visto che a me è capitato di visitarla e di parlarne proprio in quei giorni con alcuni critici e artisti di area romana e ricordo proprio che mi stupì, considerato il rilievo dato altrove agli interventi di suddetta artista di come a Roma risultasse pressoché ignorata. La sua incisività riguarda strettamente il giudizio dell'autrice del saggio e la linea storica che forzatamente traccia. Una linea poco coincidente con la realtà dei fatti. Priva delle conseguenze che le si vorrebbero attribuire. Di contro, vorrei citare alcuni altri episodi romani significativi: per esempio le notti - evento all'Edicola Notte gremite di decine e decine di persone ed ancora, mancando forse di modestia, le kermesse a cui ogni volta la nostra rivista ha dato vita dall'anno della sua fondazione - il 1987 - ad oggi, attraverso le mostre a sostegno della sua uscita e quelle fatte a sostegno degli artisti di cui si è occupata. Episodi significativi non solo per il successo ottenuto ma anche per lo spostamento prodotto in ordine agli spazi del "fare arte" e del "suo comunicare". Tutto ciò è totalmente rimosso. Riportato in parte nella cronologia finale risulta completamente oscurato nelle pagine di ricostruzione storica. Si tratta con evidenza per lo più di esempi a me prossimi o addirittura coincidenti con ciò che ho fatto, il che li adombra del sospetto di estremo soggettivismo. Vuole essere in realtà un semplice timida rivendicazione, pronunciata a fior di labbra, distante anni luce da quella totale assenza di discrezione che ha portato molti degli storici invitati a ricostruire i fatti a compilare lo specchietto con le mostre a loro giudizio più significative del periodo citando senza remore quelle a propria cura. Ed è sulla scia un po' sardonica di questa scelta che mi permetto in margine di redigere un elenco in ordine alfabetico degli autori e delle proposte artistiche che mi sono parse più significative in questa Quadriennale.

Mario Airò e Massimo Bartolini, "Dum Dum", 1996, videoproiezione.
Luigi Billi, "Ho proibito a mio padre di chiamarmi figlio I-VI", elaborazione fotografica su tela.
Giuseppe Bordoni, "Reliquarii", 1996, fotografie a colori.
Nada Cingolani, "Cioccolato alto un bambino", 1996.
Paola Di Bello, "La disparition", 1995, collage di fotografie a colori.
Eredi Brancusi, "Lascito Stegemann", 1996, plexiglas, documenti e legni combusti, misura ambiente.
Daniele Galliano, "Senza titolo", 1996, olio su tela.
Claudio Givani, "Una seconda volta, or ora", 1996, inchiostro pigmentato all'acqua su carta, stampa, ferro smaltato e plexiglas.
Luigia Martelloni, "Ribbon's Labor", 1996, tessuto, marmo, fotografie in bianco e nero, plexiglas.
Maurizio Pierfranceschi, "Tra i naviganti", 1996, olio su tavola.
Cesare Pietroiusti, "Senza titolo", 1996, oggetti, documenti e materiali vari.
Annie Ratti,"Combustione", 1996, tolla zincata e video.
Studio Azzurro, "Frammenti da una battaglia", 1992, videoproiezione interattiva.
Marco Tirelli, "Senza titolo", 1995, tempera su tavola.
Grazia Toderi, "Senza titolo", 1996, video VHS.
Luca Vitone, "Senza titolo", 1996, tecnica mista.